Controra #7 - la newsletter che non parla di 🍑
Controra #7
E rieccomi, ciao! Sono sparita per parecchie settimane, proprio quando avrei dovuto accogliere degnamente e tempestivamente tutte le nuove persone che sono arrivate ma, come sai bene se sei qui dall'inizio, questa non è una newsletter come tutte le altre e, tra tutti i buoni propositi che se ne vanno serenamente a ramengo, ce n'è almeno uno a cui tengo molto: non può e non deve diventare un lavoro, perché ce n'è pure troppo, quello che ci paga le bollette e quello che facciamo gratis (se mi leggi per la prima volta, ti consiglio di ravanare nell'archivio per capire meglio cosa trovi qui). Avrai capito che oggi ti parlo di lavoro. Timbra il cartellino, fai clic sulla playlist di sottofondo e iniziamo.
4 Chiacchiere sul lavoro
(percepito, reale, sognato, odiato)
Ci vuole concentrazione per non perdersi nemmeno uno dei millemila link!
La cifra distintiva di questi tempi, ai quali forse un giorno ripenseremo sputando la dentiera per le risate, è la lamentazione. E fattelo dire da una che se ne intende, che si lamenta sempre, del caldo, del freddo, del tiepido, della gente, delle notizie, di tutto. Tra le principali cause di lamento, in questo ottobre che sembra lontano sei mesi dalle vacanze, è il lavoro. Con chiunque parlo, il refrain è identico: sono già esaurita, sono distrutto, soffocato da scadenze inderogabili, non arrivo a Natale. Ho amiche che rispondono ai messaggi dopo una settimana (per me che vivo connessa, segno massimo di vita incasinata) e, di contro, colleghi che mandano email, evidentemente imprescindibili, alle 2 di notte. Si narra di fine settimana con meet carbonari (perché resta ancora un briciolo di pudore e, giustamente, sono cose che si fanno di nascosto) o passati a terminare l'ennesimo corso di formazione non obbligatorio ma fortemente consigliato (solo su questo potrei scrivere un tomo da mille pagine) o a preparare slide inutilissime di cui però non si può più fare a meno. Anche in questo caso, come per tutto il resto di cui ti parlavo qui, ne dovevamo uscire migliori ma purtroppo. Sul podio dei fallimenti, sicuramente il lavoro agile: amatissimo quando si doveva mandare avanti la baracca senza crepare, oggi nemico numero uno abbastanza ovunque, per i noti motivi: incapacità di lavorare per obiettivi, diffidenza atavica verso il dipendente, impossibilità di confrontarsi con il gigantesco problema di chi fa e di chi non fa (quasi sempre brillantemente risolto così: magari non fai, ma almeno stai inchiodata alla scrivania dell'ufficio, e tutti contenti). Avevamo l'occasione di individuare finalmente, e anche con una buona scusa, modi concreti di conciliare vita e lavoro, alternative alla morte per traffico e una diversa gestione del proprio tempo e invece ci tocca ascoltare esponenti del Governo, presumibilmente munite di denaro per pagare baby-sitter, supertate e corsi di pilates, affermare candidamente che come si faceva prima della Pandemia faremo anche adesso. D'altra parte, le nostre nonne sono sopravvissute senza lavastoviglie, cosa vuoi che sia buttare 3/4 ore al giorno nel traffico per andare in un ufficio a fare cose che potresti fare a casa mentre cuoce il ragù. E quindi, eccoci qui, alle prese con lavori matti e disperatissimi e con tre meet al giorno (unici sopravvissuti gagliardamente alle novità del periodo pandemico).
PERALTRO
Per non parlare di un aspetto un po' sottotraccia: e se il problema non fosse il troppo ma il troppo poco? Comunque, sarà per tutti questi motivi che:
avrai letto decine di articoli sulle grandi dimissioni
dal Quiet Quitting si è passati al Bare Minimum Mondays per arrivare al Great Gloom
continuano a chiudere newsletter (solo a settembre ne ho contate tre) e chi lavora con i social non fa altro che chiedersi se valga la pena investirci tutto quel tempo
persino i concorsi per il mitico posto fisso vanno deserti e tra le alte sfere regna il panico: "ci sono i miliardi del PNRR da spendere! il Piano per la trasformazione digitale da applicare! le liste di attesa per le carte di identità sono più lunghe di quelle per avere una Birkin!". L'idea geniale è stata quella ciofeca di spot sul posto fisso/posto figo (mi rifiuto di linkartelo), che credo abbia generato in noi dipendenti della PA un volume di bestemmie paragonabile a quello prodotto in occasione de passaggio di palla tra Draghi e la Meloni.
Il grande non detto sul post Pandemia (sennò ti mangiano viva) l'ho letto qui e concordo pienamente: quel sentimento di nostalgia per una gigantesca occasione sprecata.
MA. C'è un enorme MA. Ti è mai capitato di dover subentrare improvvisamente a uno di quei colleghi che devono mandarti qualcosa da mesi e non rispondono mai e, se lo fanno, la risposta è sempre "no, scusa, proprio non ce la faccio, devo colonizzare Marte, salvare i gorilla dall'estinzione, partorire senza epidurale" salvo poi scoprire che fa due robette in croce ammantate di super fuffa e che tu in confronto sei più produttiva di un'ape operaia? E ti è mai capitato di chiederti: "ma com'è possibile che questa si lamenta del troppo lavoro e poi passa giornata intere impegnata in lotte senza quartiere in qualche mega thread sui social?". Se la risposta a entrambe le domande è sì, avrai già capito che l'enorme MA si traduce in: MA siamo proprio sicure sicure che tutto questo lavoro esista davvero? o che sia necessario? non sarà forse che molti di noi sono drammaticamente disorganizzati? E, soprattutto, non sarà che a molti piace proprio dirlo che lavorano troppo, che hanno mesi di ferie di cui non godranno mai e che hanno passato le vacanze a rispondere alle email, come se fosse una cosa di cui vantarsi? Forse molti affogano nel lavoro perché sono convinti che sia l'unica cosa che porta davvero valore alle giornate, perché il resto, intorno, è fonte di inadeguatezza e ansia, perché temono la noia e non sanno confrontarsi con il tempo della riflessione e della lentezza. Se c'è una cosa che, invece, dovremmo aver imparato dal lockdown, è che il nostro tempo possiamo sfruttarlo in modi che nemmeno immaginiamo e che possiamo scoprire attitudini e capacità insospettate. Non saranno attività monetizzabili? Dipende da cosa intendiamo per guadagno.
La stanza degli ospiti
Uno che (FORSE EH) avrebbe potuto aiutare a creare uno storytelling efficace nel tragico spot del “posto figo” è Cristiano Carriero, che accolgo con molto piacere nella mia stanza degli ospiti (lasciandogli sul comodino un cioccolatino tarallino in più, perché di maschi se ne vedono pochi da queste parti e perché è pugliese come la mia famiglia, e quando si tratta di origini meridionali io sono assolutamente di parte).
La sua newsletter L’ho fatto a posta è una delle mie letture preferite perché è un luogo in cui è centrale il racconto delle cose e la riflessione su come le raccontiamo, e questo significa mettere il lettore, e il suo tempo, davvero al centro (cosa che dovrebbe essere scontata ma non lo è). E poi è scritta bene (altra cosa che dovrebbe essere scontata ma non lo è).
Ciao Cristiano, è bello averti qui. Raccontaci chi sei.
Mi presento come faccio alla fine di ogni puntata della mia newsletter, L’ho fatto a Posta. Io sono Cristiano Carriero, storyteller, fondatore de La Content e speaker TedX e non solo. Scrivo progetti, scrivo mail, scrivo libri e li scelgo anche. Sono il curatore della collana di digital marketing Hoepli. Collaboro con Ad Mirabilia in ambito PR e influencer marketing, sono quello che si è inventato la metafora del mare a sinistra (storia di un ritorno) che tanto piace alla Regione Puglia. E sì, perché sono pugliese. Barese per la precisione. Siccome ho vissuto tanti anni nelle Marche, lavorando per l’Indesit Company prima e per alcune aziende della Vallesina poi, mi sono innamorato del Verdicchio e ho deciso di investire su una cantina vitivinicola che lo produce. Nel tempo libero scrivo romanzi, l’ultimo si chiama 24 dicembre. Ma se dovessi riassumere tutto - e devo dire che è molto - con una parola, direi che sono un ImprendAutore.
Potremmo anche chiuderla qui, perché la metafora del “mare a sinistra” è meravigliosa e dentro c’è un universo di cose da dire e raccontare…ma questo spazio nasce per condividere con chi legge storie di svolte e cambiamenti, e quindi raccontaci la tua.
Come insegnano i maestri della narrazione, la svolta coincide spesso con una caduta. E nel mio caso si è trattato della fine di un rapporto lavorativo in una azienda di cui ero dipendente. L’azienda era Performance Strategies, ed è una gran bella impresa. Solo che io da un paio di mesi (forse un anno), sentivo forte il desiderio di fare qualcosa di diverso. Di diventare un freelance, insomma di lavorare sui miei progetti. Anche perché avevo già una bella e numerosa community su Facebook chiamata “La Content Academy”, dove condividevo con altri content creator e content marketers progetti e lavori. Quindi, quando è iniziata la mia vita da libero professionista avevo già una bella rete di collaboratori e potenziali clienti, e non ci ho messo molto a capire che avrei potuto prendermi belle soddisfazioni. Poi, come in tutte le cose, ci vuole tempo per capire come ottimizzare il tempo, come valorizzare il proprio talento, e molte altre cose. Fino a quando, con tre dei membri di quella community, abbiamo deciso di far diventare La Content una srl, quindi una azienda vera. Non avevo mai fatto l’imprenditore, ed ho iniziato un po’ per gioco e un po’ perché avevo un grande desiderio: portare un grande evento di digital marketing a Bari. E così abbiamo fatto, la differenza tra un sogno e un obiettivo è sempre fissare la data. E oggi siamo diventati un punto di riferimento per tutto il Sud per gli eventi di marketing e storytelling (La Content Academy) oltre che un’agenzia di comunicazione (La Content Agency) che lavora per grandi brand.
Se ripensi al tuo percorso, c’è qualcuno che vorresti ringraziare?
Sicuramente Luca Conti. È un amico, ma è stato prima di tutto un precursore, un confidente. Le nostre cene non sono mai banali, ogni volta mi chiede se va tutto bene, se sono soddisfatto, rimettiamo in discussione tante cose. Lui ha creduto in me per primo e mi ha fatto scrivere Facebook Marketing, poi è arrivato Content Marketing, sempre per Hoepli, dopo qualche anno mi ha lasciato il ruolo di curatore. È stato ed è importantissimo. Ma non è l’unico. Ringrazio tutti i miei capi: Lea, Francesca, Marcello, Lorenza, Rosalba. Da ognuno e ognuna di loro ho rubato - come dice Austin Kleon - qualcosa. Ringrazio il viaggio in Messico nel 2013, quello a Liverpool del 2023, ringrazio “La simmetria dei desideri”, il libro, e i miei genitori anche se non hanno potuto vedere nulla o quasi del mio lavoro, in generale sono uno che ringrazia molto, per cui mi fermo qui.
E qualcuno che, invece, non devi proprio ringraziare? Su questa domanda c’è sempre molta reticenza e nobiltà d’animo, ma io ogni volta spero in un po' di onestà :)
Faccio fatica, ma non per mancanza di coraggio. Sicuramente il mio primo capo in Indesit, Alessandro Iozzia, non ha creduto molto in me. Però, per onestà intellettuale, devo dire che io ero uno stagista molto esuberante, con un pizzico di talento ma non tanta disciplina. Insomma, lui doveva pensare al presente e fece delle scelte che oggi, col senno di poi, reputo corrette. Poi la vita è strana, una quindicina di anni dopo sono stato scelto, per la comunicazione di Banca Ifis, da una professionista che è cresciuta con lui, con la sua scuola. Tutto torna, se ti concentri sulle tue mancanze. Vedi, alla fine ho ringraziato anche qui!
In effetti mai così tanti “grazie” da quando ho aperto la casa di Controra! :) Hai un oggetto o un posto o una canzone o una foto, insomma qualsiasi cosa che simboleggi la tua storia?
Non sono molto legato a degli oggetti, cambio spesso agenda (le perdo), amo ascoltare canzoni che non conosco ma al tempo stesso rivedere vecchi film per imparare a memoria le battute. La mia storia è in divenire, è impossibile raccontarla con una foto, ma con una serie di foto. È il motivo per cui adoro Instagram, quando lo scorro penso “cavolo, quante belle cose ho fatto negli ultimi anni!”. Poi per ogni foto c’è un racconto, una storia, una frase che mi ricorda un periodo. E la cosa bella è che facevo la stessa cosa quando i social non esistevano. A casa avevo delle bacheche di sughero sulle quali mettevo le foto e dei post it con una frase. Penso di aver sviluppato questa capacità narrativa già ai tempi dei cinque inter-rail fatti negli anni dell’università. Il mio è un content continuum che si è sviluppato allora, e che è ancora in divenire.
“Content continuum” direi una delle definizioni più belle di sempre, te la ruberei! Un consiglio per chi si trovasse in una situazione simile a quella che hai vissuto tu?
La prima cosa che mi viene da dire, la più utile, è non preoccupatevi. Lo so che può sembrare una finta saggezza, io continuo a preoccuparmi molto, ma ho tirato fuori il meglio di me stesso in situazioni difficilissime. Quando ho perso il lavoro, i genitori, quando sembrava che non ce l’avrei mai fatta a tirarmi fuori da tutta la burocrazia. Anzi, paradossalmente io sono molto più preoccupato quando tutto diventa routine, tutto diventa regolare, sento il bisogno di ritrovare idee, stimoli, un po’ di scomodità. Anche per questo l’estate scorsa me ne sono andato a lavorare a Liverpool. E poi studiate tanto: le lingue, le novità del settore (tipo l’AI), rubate dai migliori. Se voglio diventare uno storyteller sempre più bravo devo capire cosa fanno in America, in Canada, in Australia. Dedicate un paio d’ore al giorno a questo. A volte sembra che non ci sia tempo, invece è un nostro dovere trovarlo.
Anche qui, come dicevi prima, tutto torna, perché è un po’ quello di cui ho parlato nelle Chiacchiere sopra…ultima domanda, consigliaci qualcosa: un libro, un film, una serie tv, un luogo da visitare, un cibo, vale tutto.
Mi inviti a nozze: parto dal libro, Ruba come un artista e Semina come un artista di Austin Kleon. Film: The social network (sembra già Heritage), serie tv: Severance che parla della scissione, non sempre positiva - anzi - tra vita lavorativa e vita personale; luogo da visitare: Marsiglia, ma in alternativa leggete “A Marsiglia con Jean Claude Izzo”. Cibo… naturalmente gli spaghetti all’assassina! Dovevo dire un piatto barese, il mio preferito.
Ah, gli spaghetti all’assassina, sono secoli che non li mangio, MALE! Corro a rispolverare la ricetta….Grazie Cristiano, ci si legge in giro.
Cose da cliccare, guardare, gustare, salvare
(sono tante? sì, ma nessuno ti corre dietro)
Tra il libri acquistati a settembre, te ne consiglio due perfetti per staccare da tutto e alleggerire lo stress. Ilaria Mazzarotta tempo fa ha sfornato questo ricettario, perfetto per cucinare, con estrema semplicità, quelle preparazioni carine e coccolose che fungono anche da anti-depressivo. Lo sfoglio come se chiacchierassi con un'amica, è molto rilassante.
Dopolavoro
Nora Ephron non ha bisogno di presentazioni: in questo periodo poi è d'obbligo rivedere per la milionesima volta i suoi capolavori, soprattutto quelli con il mood autunnale (Meg Ryan che cammina con la zucca in mano, hai presente?). Per qualche strano motivo, nella mia libreria mancava questo delizioso compendio della sua strepitosa bravura. Nora era avanti diecimila anni e oggi commenterebbe certe sciagure che ci tocca osservare alzando un sopracciglio e linkando la se stessa del 2006.
Veniamo a "le newsletter degli altri" con una che è l'esatto contrario della mia - piccolissima :) -, ma piena di suggestioni e consigli di allenamento per l'immaginazione che trovo sempre molto stimolanti: Paragrafo di Simona Scancalepore (se vuoi imparare in quanti modi possiamo rendere una lista qualcosa di speciale, ti consiglio di seguirla).
Il film, invece, te lo faccio consigliare direttamente da zio Stephen:
Nessuno ti salverà (con una bravissima kaitlyn Dever, che avevo già apprezzato in Dopesick) potrebbe sembrarti il classico film su un invasione aliena ma contiene un paio di elementi davvero spiazzanti: uno è il finale e l'altro è qualcosa di cui ti accorgi solo dopo una ventina di minuti. Chiaramente, non posso dirti di piu.
Podcast: ne ho parlato prima e quindi non potevo non consigliarti Lavoriamo agili, di Martina Sconcerti.
Martina è una career coach impegnata, tra le altre cose, nella divulgazione della cultura dello smartworking. Se ti interessa l'argomento o se stai vivendo una situazione lavorativa che potrebbe beneficiare di consigli molto utili per applicare correttamente il sistema del lavoro agile, sai cosa fare. Grazie a lei, ho anche scoperto che esiste la definizione perfetta per quell'enorme mole di lavoro fatto di gruppi/comitati/sottocommissioni che sfornano decine di presentazioni/meet/riunioniinpresenza/chat che si autorigenerano all'infinito moltiplicando il tempo necessario a fare le cose: è la parola FAKE WORK (mi sembrava giusto dare anche a te la possibilità di smadonnare proporre alla tua capufficio un modo diverso di lavorare, utilizzando un termine che ti faccia fare un figurone).
E poi:
io e i meet
qualcosa di autunnale e coerente con il pippone di sopra: vuoi metterti in aspettativa? potrebbe essere un'idea questa bucket list
ma anche, vuoi cambiare lavoro? va bene tutto ma NON provare a organizzare matrimoni per ricchissimi
non puoi proprio cambiare? prima di cedere alla rabbia rischiando il licenziamento, prova angry mail translator. Agevolo esempio di una prova, che ho scritto pensando a uno dei miei colleghi preferiti:
l'esperimento è fallito e hai fallito pure tu? Ci sono le Fuckup Nights
Rilassiamoci: una carrellata di baci cinematografici
Long read: le lettere d'amore di Emily
Stavo quasi per dimenticare: un balletto domenicale.
Infine, lo screenshot di oggi che riguarderò mentre fallirò miseramente anche la prossima dieta.
Chissà se dovrei mettere a dieta anche questa newsletter...a giudicare dai messaggi che mi arrivano pare di no, e tu che ne pensi? Hai capito qual è lo spirito giusto? Leggerla a piccoli sorsi, fa passare il singhiozzo e ti salva pure dallo scroll selvaggio. Alla prossima!