Controra #3 La newsletter che cerca storie 🔍
Controra #3
E rieccomi, come stai? (te lo chiedo perché mi interessa la risposta eh). Io sto come una che predica bene e razzola male, nel senso che ho scritto un pippone sul decluttering e mi ritrovo con 127893 articoli da leggere, archiviare nella giusta cartella e organizzare in un discorso che abbia senso. Sarò forse iscritta a troppi siti e troppe newsletter? Certo che sì, ma mi sono appena iscritta all'ennesima perché la mia è chiaramente una dipendenza. D'altra parte, se togliamo i momenti con gli amici, lo shopping e i video di chow-chow, poche cose mi aiutano a evadere da questo mondo osceno e dalla consapevolezza che possiamo fare poco per cambiarlo. Una di queste cose sono le storie e oggi parleremo di questo. (Ah, devo avvisarti che mi rifiuto di inserire gli spoiler alert, trattandosi di cose che sono ormai note come Napoleone che finisce a S. Elena). Prendi un blocchetto per gli appunti e cominciamo.
4 Chiacchiere (sui racconti necessari)
Sottofondo: una playlist adatta allo scopo
Ci sono migliaia di saggi, monografie e corsi di laurea sull'antropologia della narrazione, dalle leggende alle favole ai poemi omerici, e sul potere dei racconti, dalle orazioni di Cicerone agli speech di Steve Jobs, ma sono materia per altri luoghi. Io qui, per spiegarti cosa sono per me le storie e cosa cerco tra le righe di un racconto, lascerò che a parlare per me sia Tyrion Lannister, nel meraviglioso discorso del finale di serie di Game of Thrones.
"Cosa unisce le persone? Le armate? L'oro? I vessilli? Le storie. Non c'è nulla al mondo più forte di una buona storia."
Nella descrizione del primo episodio di Lucy uno dei miei podcast preferiti, si dice che "le storie pongono le basi della nostra società, ci fanno vivere vite che non sono la nostra, creano legami (o li recidono), ci intrattengono, emozionano e trasformano" e che le storie, in qualsiasi forma, sono ancora e sempre necessarie.
Alcune storie, che leggiamo o guardiamo o ascoltiamo, esauriscono il loro portato semplicemente nei "fatti" che ci propongono, non c'è molto altro su cui riflettere. Ma ce ne sono altre che invece incidono profondamente nel tessuto della mente e del cuore perché quei fatti, in realtà, parlano d'altro, e continuano a risuonare a lungo nella nostra esperienza di vita, attraverso le loro suggestioni. Prendiamo le serie tv: The Walking dead, per esempio, mia enorme passione nonostante la resa altalenante degli ultimi anni, non è mai stata una serie sugli zombie ma, come tutte le variazioni sul tema, ci parla di persone alle prese con la perdita dell'umanità, di paura del diverso, delle infinite risorse che troviamo in noi stessi e negli altri quando tutto sembra perduto.
Per non parlare di Lost, una delle migliori epopee sulla ricerca del senso della vita e del libero arbitrio dai tempi dell'Odissea: un labirinto metaforico che ha fatto riscoprire a molti la ricchezza del discorso filosofico, da Hobbes a Rousseau, in un gioco di scatole cinesi e di specchi in cui la narrazione non è solo quella del plot ma anche quella che ogni personaggio racconta, a se stesso e agli altri, e che ricerca come fonte di conforto. Illuminante, in questo senso, come e quanto sono presenti i libri nello svolgersi degli eventi.
Tralaltro, ho trovato anche questa chicca, che mi era sfuggita in tutti questi anni, piantino...
Pochi giorni fa è terminata Succession, forse una delle serie più "tutto" mai scritte, e se continuano a uscire decine di riflessioni sulla famiglia Roy è perché le loro vicende vanno oltre la storia di cui sono protagonisti.
Terminato l'ultimo fotogramma, la prima cosa a cui ho pensato è stata la famosa frase "tutti puniti!" del "Romeo e Giulietta" di Zeffirelli perché Succession è una sublime tragedia shakespeariana, come scritto in uno degli articoli più belli che ho letto in questi giorni.
Poi ho pensato a quanto certi personaggi sono più veri del vero a cui forse si ispirano, anche qui confortata dal fatto che di uno di loro è stato persino pubblicato un esaltante coccodrillo. E poi, al modo perfetto in cui una miriade di temi sono stati confezionati e lasciati alla nostra riflessione: il nichilismo, l'abiezione, i traumi dell'infanzia, la ricchezza oscena e, soprattutto, la certezza che moltissime cose che ci riguardano sono frutto delle scelte di gente totalmente priva di morale. Altra mia grande fissazione, parlando di storie grandiose da leggere, sono le saghe e le qualcosa-gie: negli ultimi anni mi sono sdilinquita di fronte alla bellezza dalla trilogia della pianura di Ken Haruf, vero e proprio manifesto del potere miracoloso che la grande letteratura ha di rendere universali e straordinarie alcune vite all'apparenza insignificanti; è anche un altro esempio di quello che cerchiamo in un libro, al di là dell’intrattenimento e oltre la superficie dello svago.
Nelle storie di Holt, piccole, grandi, miserabili e grandiose, semplici e terribili, ci siamo noi, la grande e struggente bellezza di ogni singolo essere umano, anche quello la cui esistenza può sembrare apparentemente banale. Le voci di Holt, dove avremo per sempre il desiderio insoddisfatto di tornare, ci dicono che ognuno di noi vale un universo intero di possibilità.
Se cerchi qualcosa che ti faccia compagnia per un bel po', ti consiglio anche la saga dei Cazalet, da molti paragonata a Downton Abbey ma che è qualcosa di più di un affresco familiare dettagliatissimo
(e che necessita di albero genalogico e elenco dei personaggi per stare dietro alle vicende). Ci parla, per esempio, della tremenda incapacità dei personaggi maschili di affrontare lo stravolgimento della guerra e gli enormi cambiamenti sociali del periodo e, di contro, della netta superiorità caratteriale e delle potenzialità spesso soffocate dalle convenzioni sociali dei personaggi femminili, che invece tentano sempre, nonostante tutto, di trovare nuove strade da percorrere. D’altra parte l’autrice, Elizabeth Jane Howard, che ammise di aver inserito molto materiale autobiografico nella saga, è stata una donna bellissima, di ricca famiglia altoborghese, molto dotata, dai tanti amori sfortunati e moglie di scrittore che la detestò e osteggiò per le sue innegabili capacità (vedi quante storie si scoprono, partendo da altre?). Come avviene spesso a quelle donne cui capita di essere contemporaneamente brave e belle, è stata snobbata dalla critica. Ingiustamente, perché la sua scrittura è limpida e piacevole e scorre leggera come una tazza di buon tè inglese accompagnata da un piattino di pasticcini. Quando cerco storie su cui rimuginare, oltre alle serie tv e ai libri, ovviamente ascolto i podcast.
Parleremo un'altra volta di quelli true crime, per i quali mi sento di avere l'equivalente di un dottorato; oggi mi limito a segnalarti una bella scoperta fatta di recente.
Rami è un podcast che racconta il difficile e certosino lavoro dei genealogisti, coloro i quali ricevono l'incarico di ricostruire un albero genealogico e individuare l'erede legittimo di un'eredità, non reclamata o a rischio di finire nelle grinfie di qualche truffatore. La ricerca e la ricostruzione dei rami familiari può scontrarsi spesso con una serie infinita di ostacoli, tra archivi polverosi da spulciare e linee familiari interrotte, ma può anche essere fonte di storie davvero incredibili e "cinematografiche", laddove si scoprono legami nascosti, avventure insospettabili vissute nelle pieghe di grandi eventi storici, e segreti svelati. Sono solo tre puntate ma ti garantisco che rimarranno a lungo nei tuoi pensieri (oltre, chiaramente, a farti sperare che un giorno squilli il telefono anche per te, perché l'unico sogno nel cassetto a cui non rinunceremo mai è quello dello sconosciuto zio ricco che rende ricchissime anche noi). Ma alcune storie a volte le incrociamo in posti davvero inaspettati. Da qualche mese, partecipo agli swap party che organizza la mia amica Maddalena a L'Antina, un posto che ti consiglio di venire a visitare a Vigevano, se puoi, e se non puoi quantomeno di seguire sui social. L'Antina, è un posto dove trovare usato di qualità e accessori ed oggetti realizzati artigianalmente con materiale di recupero, ma è anche e soprattutto un contenitore di esperienze, tra cui, appunto, gli swap party: sono degli incontri in cui ogni partecipante porta dieci pezzi di qualsiasi genere da scambiare con gli altri. Tutto qui, nessun prezzo da concordare, nessun pacco da spedire, liberi un po' l'armadio, magari torni a casa con qualcosa che ti serviva, conosci persone nuove e ti diverti, perché gli oggetti devi "presentarli".
Si ride molto e a volte ci si commuove anche, perché dietro a una maglia, un vaso, un ombrello, possono nascondersi delle storie preziose. Tutto ciò per dire che dovremmo mollare Vinted, mollare lo smartphone e anche la poltrona e andare più spesso a cercare in giro i racconti e le voci che ci servono.
La stanza degli ospiti
Attenzione, rullo di tamburi, perché oggi si verifica un evento più raro del passaggio di una cometa e cioè la presenza di un MASCHIO in Controra, visto che la platea è al 99.9% femminile (amica, porta un amico!). Di Enrico Pitzianti ti ho parlato nel numero zero di Controra, e questa è la sua storia.
Ti ricordo che questa stanza potrebbe ospitare anche la tua, a prescindere dalla tua identità di genere :)
Anche Enrico cerca e racconta storie, e io lo leggo da tempo e mi ha sempre incuriosito sapere qualcosa in più sul suo percorso.
Ciao Enrico, grazie di avere accettato il mio invito, raccontami la tua storia.
Ho 34 anni e faccio il giornalista e l’editor. Da ragazzino ero di quelli curiosi, un po’ tendenti all’ansia sociale per il fatto di essere, diciamo così, sensibili. Tra me e me pensavo che avrei voluto fare il giornalista, ma facevo il tecnico per geometri a Cagliari, che non è proprio la base di partenza ideale per farcela, a fare il giornalista. Poi, dopo scarsissimi risultati scolastici, una bocciatura a 17 anni e un’estate spedito a fare il manovale, dicevo in giro (e quindi a me stesso) che avrei fatto l’università e mi sarei iscritto alla facoltà di giornalismo. Era un’ottima scusa per giustificare i voti così bassi, e siccome ormai l’avevo detto, l’ho dovuto fare sul serio - che è ancora oggi il mio metodo preferito per fare quello che desidero, ma che non ho la fermezza di fare. Obbligo me stesso con delle parole spese; ed è un trucco che consiglio, con me funziona. Con lo stesso spirito di “auto-obbligarmi” a fare le cose cercavo di leggere il giornale il più spesso possibile, anche se mi pesava. I miei, credo per farmi un favore, fecero l’abbonamento al Manifesto. Poi ho studiato prima giornalismo e poi semiotica a Sassari, a Madrid e a Bologna. Dopo la magistrale, a 24 anni, ho pensato di dover imparare l’inglese, visto che era una delle molte cose che mi vergognavo di non sapere e su cui mi sentivo in grande ritardo. Così sono andato a Melbourne, in Australia, e ho lavorato in un pub del centro. Lì, oltre a lavorare e studiacchiare l’inglese, ho scritto il mio primo articolo, per una rivista che ormai non esiste più. Era il 2015. In quei mesi mi ero messo in testa di imparare a scrivere in modo chiaro (visto che all’università insegnano a fare il contrario) e ho cominciato a scrivere molti articoli. I primi erano brutti, mi costavano un minimo di tre giorni di lavoro a tempo pieno e - giustamente - non mi venivano pagati. Quelli dopo un po’ meno brutti, d’altronde a quell’età si impara velocemente, e io dal canto mio ci mettevo un impegno da 24enne orgoglioso e convinto che quella sarebbe stata di certo la via di fuga dall’insicurezza personale e da un ambiente che non mi piaceva. Nel 2016 ho iniziato a lavorare da caporedattore per L’indiscreto, poco dopo Internazionale mi ha chiesto un reportage e lì ho pensato che forse col giornalismo potevo viverci.
Oggi curo una newsletter di Wired Italia che si chiama Non scaldiamoci, dove scrivo delle conseguenze politiche e sociali del riscaldamento globale e delle questioni ambientali. Scrivo soprattutto di politica estera, attualità e ambiente oltre che per Wired, Il Foglio, Linkiesta e Esquire Italia. Mi capita di fare altre cose, per qualche anno per esempio ho insegnato all’università.
Il tuo racconto mi conferma che ho fatto bene a invitarti; a me piace moltissimo capire e approfondire certi percorsi di vita e lavoro, soprattutto se sono lontani da quello che faccio. E mi ritrovo moltissimo nella faccenda del dire le cose così poi devi farle per forza, è lo stesso metodo che uso io! Nelle diverse fasi che hai descritto prima, qual è stato il momento di svolta e cambiamento?
A studiare con me semiotica a Bologna c’era Emanuele Atturo. Oggi è vicedirettore di Ultimo Uomo, un’ottima rivista di sport e un bell’esperimento in cui si scrive, bene e seriamente, di sport. Lo fanno senza retorica, che in Italia è piuttosto raro. Poi secondo me di “momenti di svolta” nella vita di ognuno ce ne sono centinaia, ma sicuramente mi è stato utile avere, da ventenne, un altro ventenne con le stesse ambizioni come amico e collega di studi.
E’ curioso quello che racconti, perché Ultimo uomo è una rivista che mi piace molto nonostante la mia lontananza siderale e direi ideologica :) dal mondo dello sport e che mi è capitato di condividere più di una volta sui social.
A proposito di incontri fortunati, c’è qualcuno che senti, oggi, di dover ringraziare?
Devo premettere che io, in tutta onestà, non mi percepisco “arrivato”. Faccio un lavoro che vogliono fare in tanti, questo sì, ma solo questo; non sento di poter essere d’esempio. Detto questo, secondo me in qualsiasi percorso più che chi ti offre un lavoro o un contratto, va ringraziato chi ti aiuta a imparare all’inizio, quando non sai nulla. Come dicevo prima, per me era circa il 2015. Faccio un esempio: ricordo che quell’anno volevo scrivere un articolo che rendesse l’idea del pericolo che corrono i migranti nell’attraversare il mare. E per farlo volevo descrivere cosa sia, nella pratica, l’annegamento. A editare la mia bozza di articolo, come a cercare le fonti e i medici da sentire al telefono, mi aiutò Daniele Zinni. Che oggi si occupa soprattutto di social e scrittura breve, ma lui lo ringrazio. Quelle erano molte ore passate, tra giovanissimi, a darsi una mano.
E qualcuno che invece non devi ringraziare?
Direi nessuno. Perché certo che facendo questo lavoro trovi anche persone negative: d’altronde, purtroppo, il giornalismo è considerato un mestiere “creativo”, quindi abbondano egotici, supponenti, gossippari e carrieristi. Ma si evitano facilmente.
Se ripensi al tuo percorso fin qui, c’è un oggetto, un posto, una canzone, insomma qualsiasi cosa che simboleggia la tua storia?
Ho dei vecchi bossoli, li tengo nei due posti in cui di solito lavoro, sulla scrivania. Ormai sono un soprammobile come un altro, ma quando li ho messi lì ero convinto fossero l’oggetto perfetto per ricordarsi che la scrittura non è per forza una cosa fumosa, eterea, da maglioni infeltriti e lunghi sproloqui utili a dar spazio al proprio ego. Ma anche, magari, una cosa che ha a che fare con le vicissitudini del mondo, anche quelle serie, violente o difficili.
Enrico, ti ringrazio davvero tanto di avermi dedicato del tempo e ti faccio un'ultima domanda. Che consiglio daresti a chi oggi si trovasse in una situazione simile a quella che hai vissuto tu?
Tre consigli. Il primo è cercare di stare in mezzo a chi scrive. Il secondo è lasciar stare i social e leggere il giornale, quello cartaceo, e cercare di farlo ogni giorno. Se non si hanno i soldi, o la possibilità, di comprare in edicola basta sentire chi legge i giornali ogni giorno, cioè le rassegne stampa. In Italiano c’è “Prima Pagina” di Radio 3, su Radio Radicale c’è "Stampa e regime" di Marco Taradash e "Rassegna stampa estera" che fa David Carretta. Per gli esteri c’è “Radio 3 Mondo” e per la cultura c’è “Pagina 3”, entrambe Rai. Il terzo è mandare delle mail gentili e ben scritte, sapendo cosa chiedere.
Vado a studiare come si fa a evidenziare con un testo lampeggiante la frase “lascia stare i social”, GRAZIE!
Cose da cliccare, guardare, gustare, salvare
Eccomi, mentre penso a come giustificare la lunghezza di questa newsletter con Alice Poni, la mia tutor.
Sempre rimanendo in tema:
una storia misteriosa da scrollare
un profilo molto bello, dove le storie devi immaginarle
una storia che è un inganno
la storia di una casa
la storia di una che di case ne aveva tantissime
la storia, dopo e dietro la storia, di Alice Sebold
Infine, lo screenshot di oggi, che mi ha fatto pensare, ancora una volta, a come ci approcciamo alle storie e alle cose del mondo. Viene dalla newsletter di , che ti consiglio vivamente.
Ti percepisco provata/o, quindi la chiudo qui, ma sempre ricordandoti (soprattutto se è la prima volta che mi leggi) che questo posto nasce anche come alla FOMO, quindi da leggere quando ti va, se ti va, come ti va. Alla prossima!