Accomodati nella dépendance di Controra. Te l’hanno inoltrata? Puoi iscriverti qui.
In questo spazio troverai racconti di vite che hanno cambiato direzione, di idee e piani che, a un certo punto, hanno preso una forma diversa. Qui si rifugge la retorica del se vuoi puoi, perché la vita è questione di scelte ma anche di svolte fortunate. Vuoi raccontarmi la tua storia? Scrivimi!
“Perché un pretesto per tornare bisogna sempre seminarselo dietro, quando si parte.” (Alessandro Baricco, Oceano mare)
Ciao, buona domenica. Oggi ti racconto una scoperta folgorante e una lunga attesa, che termina oggi. Qualche anno fa ho letto una newsletter talmente bella che ho iniziato a parlarne ovunque: con gli screenshot nelle storie quando ancora non c’erano i link su Instagram, poi con i link, poi con i link nelle newsletter amiche; si chiama Minutaglie e la scrive Gaetano Moraca. Se ti piacciono le storie che ti fanno vibrare qualcosa dentro, lì ne troverai di bellissime, raccontate con la cura che si dedica alle cose preziose. Da quando è nata Controra, c’è la Stanza pronta per l’autore, e nonostante il mio stalkeraggio costante ci abbiamo messo un po’ a organizzare questo incontro perché, come leggerai, sono successe tante cose. Ma finalmente “oggi Gaetano è quiiiii!” (immaginami presentarlo tipo la Carrà). Lo trovi anche su Instagram.
Ciao Gaetano, accomodati e raccontaci la tua storia.
Sono nato alla fine degli anni ‘80 in un paesino dell’entroterra calabrese dove la statua di Garibaldi una volta si è commossa e c’è una strada che si chiama Via col Vento. Ho studiato comunicazione all’Università della Calabria e poi Lettere moderne a Milano e in entrambi i casi ho conseguito una laurea non a mia insaputa. Non ho mai avuto chiaro cosa voler fare da grande e non lo so nemmeno oggi. Per una decina di anni ho lavorato come content editor per diverse agenzie di comunicazione a Milano ma vi assicuro che non ero per niente content. Parallelamente sono diventato giornalista e per anni ho scritto per dozzine di riviste e giornali, sia di carta che online, ma mai che un cane mi abbia detto sei troppo bravo, ti vogliamo in redazione con noi. Anzi, mi avevano detto più o meno una cosa del genere a inizio 2020, ma poi sapete tutti cosa si è abbattuto sull’umanità nei mesi successivi e quindi tanti saluti, “è meglio se continui da esterno”. Dopo l’Università sono rimasto a vivere a Milano per 14 anni, diventando uno dei tanti emigrati che causano lo spopolamento del Sud. Nei primi anni della mia permanenza non potevo credere di stare nella stessa città del Bacio di Hayez o dell’Ultima cena, così piena di cultura e di cose interessanti da fare. Quando però ho cominciato ad avvertire che quella stessa città si stesse trasformando in un luna park per ricchi ho capito che non era più quello il mio spazio vitale ideale. Così ho riassemblato la valigia di cartone e il mio sacco annodato a un palo e sono tornato nell’unico posto che riesco a chiamare casa.
E quindi hai deciso di tornare.
Certo, potrebbero esserci stati anche alcuni piccoli eventi che mi hanno convinto a prendere la strada del ritorno come: la morte di mio padre, il mio licenziamento dall’agenzia e la fine della mia relazione/convivenza quasi decennale. Per darmi un tono potrei dire di essere andato in burnout ma basta dire che niente di quello che facevo riusciva a darmi un accenno di felicità. Avevo in mente solo una cosa: tornare a casa mia e prendermi cura del giardino di mio padre. E questo ho fatto, per diversi mesi, quasi in silenzio. In un paese di 2.800 abitanti nel quale non passavo più di due settimane di fila da quando facevo il liceo. Mentre seminavo alisso pensavo “sono un fallito a essere tornato”, mentre potavo le rose mi dicevo “non vorrei fare altro nella vita”, mentre sceglievo la posizione ideale in cui collocare la lantana riflettevo su quanto, gradualmente, stessi tornando a essere sereno. E più i giorni passavano più avevo voglia di darmi da fare per me e per il mio paese, che negli anni ho amato, poi odiato, poi l’ho guardato con sufficienza, poi l’ho risentito improvvisamente e fortemente mio (no, non vi citerò Pavese ma comunque c’aveva ragione e va detto). Per farvela breve, questo è il secondo inverno che passo nel bel mezzo della Calabria e, anche se continuo a dirmi e a dire che si tratta di un periodo momentaneo, ho appena iniziato i lavori di ristrutturazione dell’appartamento dei miei nonni per farci un b&b di campagna, ma soprattutto ho dato vita a una rassegna culturale e di aggregazione comunitaria che si chiama Festival del Lamento. Di certo la migliore cosa che abbia mai fatto nella vita.
Il Festival del Lamento è stata per me un’altra folgorazione ma nel senso del “riconoscimento” di qualcosa di estremamente familiare; come è spiegato qui, “lamentarsi in Calabria costituisce un’ontologia”, e questo è un carattere che accomuna in generale molti possessori di DNA meridionale soprattutto nella sua accezione positiva, e cioè di spinta unificante alla consolazione e all’azione. Chissà che non riesca un giorno a partecipare…C’è qualcuno che oggi vorresti ringraziare?
La mia psicoterapeuta, o come dicono quelli che pensano di essere Woody Allen, la mia analista.
E qualcuno che NON vuoi ringraziare?
Non riesco a non dire niente che non suoni come dichiarazione di una concorrente di Miss Italia nella quale, nonostante la confederazione di anime che mi abita, francamente non mi sono mai identificato.
Parlaci di un oggetto o un luogo o una canzone o una foto, insomma di qualcosa che simboleggi la tua storia.
Una foto del semenzaio che ho fatto appena tornato a vivere in Calabria e che ha dato il via al mio periodo di riposo e oblio, il quale ha dato vita al mio periodo di idee e serenità.
Cosa diresti a chi si trovasse in una situazione simile a quella che hai vissuto tu o al Gaetano del passato?
Troppo facile dire a qualcuno di abbandonare le cose che non lo fanno stare bene, specie se tu sei riuscito a fare questo tortuoso, doloroso, soddisfacente salto nel vuoto. Quindi direi solo: ragà, meno content, più contentezza.
Ultima domanda, mentre ti ringrazio di essere stato in Controra: consigliaci l’ultima cosa che ti ha veramente colpito: un libro, un viaggio, una serie tv, un film, una canzone, quello che vuoi.
Ho appena finito di leggere Femminismo terrone di Claudia Fauzia e Valentina Amenta, che fa parte di alcune letture che sto portando avanti per imparare ad assumere una nuova prospettiva con cui guardare il luogo in cui sono nato, i paesi e il sud. Nello specifico questo testo mi ha aperto gli occhi su quanto il nostro sguardo passi attraverso la lente “coloniale” quando parliamo di Sud e dei suoi abitanti e quanto invece sia necessario non cercare validazione sociale dall’esterno - che quasi sempre corrisponde allo sguardo degli abitanti del Nord; e poi mi ha insegnato che #vitalenta risponde ai principi di questa stessa narrazione e anche che il mio accento è politico.
E a te che leggi ricordo, come sempre, che la prossima stanza potrebbe ospitare la tua storia, se ti va; ma puoi anche suggerirmi di invitare qualcuno che ne abbia una davvero imperdibile! A presto, 🌸
Credo di poter dire che Minutaglie sia la più bella Newsletter che seguo, da sempre.
Grazie, Stefania, per questo dono e grazie Gaetano per questo racconto di te e di quel tormento che accomuna un po’ tutti noi che al Sud ci siamo nati, ma che abbiamo dovuto fare mille giri per poter rivedere con occhi diversi una terra che di quel tormento è madre e figlia insieme.
Bellissima intervista, si coglie la delicatezza con cui descrive l’evoluzione delle scelte.