Accomodati nella dépendance di Controra. Te l’hanno inoltrata? Puoi iscriverti qui.
In questo spazio troverai racconti di vite che hanno cambiato direzione, di idee e piani che, a un certo punto, hanno preso una forma diversa. Qui si rifugge la retorica del se vuoi puoi, perché la vita è questione di scelte ma anche di 🍑. Vuoi raccontarmi la tua storia? Scrivimi!
L'ospite di oggi è Valentina Masullo che forse conosci come Valefatina e grazie al suo blog Brodo di Coccole, ossia una che attenta quotidianamente alla nostra dieta pubblicando ricette e foto da leccare lo schermo (oltre a tante altre carinerie e a racconti fondamentali su cosa significa e comporta essere una content creator, ti consiglio di seguirla anche su YouTube).
Valentina per me è un'amica; ci siamo conosciute nella vita reale dopo esserci frequentate virtualmente per un po', ed è stata una delle persone che mi ha spinto a immaginare uno spazio come questo, dopo avere ospitato in un suo calendario dell’avvento i miei spunti e condivisioni a tema che fino a quel momento si perdevano nelle effimere storie di Instagram.
Ho voluto fortemente che fosse qui nella stanza degli ospiti perché la sua è un'esperienza in cui mi ritrovo moltissimo, essendo anche io sia emigrata al nord che portatrice di una malattia cronica invalidante.
Ciao Vale, accomodati e raccontaci la tua storia.
È complicato essere brevi quando, a 42 anni, mi pare di aver vissuto almeno tre vite e soprattutto quando sei logorroica, ma ci proverò. Sono nata e cresciuta a Napoli che ho lasciato a 18 anni per trasferirmi a Bergamo. Ho studiato informatica e, dopo essere gloriosamente sopravvissuta alla legge Biagi, ai finti contratti di collaborazione a progetto e ai fasti delle agenzie interinali, sono finita a fare la precaria prima in Prefettura e poi in Questura come impiegata all'Ufficio Immigrazione. Ho pensato per molto tempo che quello sarebbe stato il mio approdo definitivo ma la vita è come me: imprevedibile e abituata a fare di testa sua. Negli ultimi 12 anni - in ordine sparso - ho: cambiato città, cambiato (altre) tre case, comprato una casa, sposato un torinese, aperto un blog, studiato un sacco, presentato le mie dimissioni, aperto partita iva, iniziato a lavorare come fotografa e content creator freelance per il cibo prima e poi anche per il craft, e nel mentre mi sono ammalata di artrite psoriasica e accolto nella mia vita il dolore cronico e la disabilità.
Non sei affatto prolissa, io al posto tuo avrei già riempito dieci cartelle! Qual è stato, in questo lungo percorso, il momento in cui sono cambiate le cose?
Mi scoccia ammetterlo e mi piacerebbe poter dire che sia stato un colpo di fulmine a spingermi verso gli ultimi cambiamenti. La verità è che hanno contribuito a farmi svoltare le persone peggiori che io abbia incontrato e un ambiente di lavoro ostile e faticosamente ottuso in cui non ho neanche voluto provare a inserirmi. La malattia ha concorso a darmi la misura del fatto che aspettare non avrebbe avuto senso e che il futuro avrebbe potuto essere molto diverso da quello che era già stato. Non so se la vita da libera professionista sarà sempre la stessa, ma questo percorso mi ha insegnato che adattarsi non sempre vuol dire restare e questo forse è quanto di più prezioso potessi imparare.
Questo è molto vero, il faticoso percorso di accettazione e convivenza con una malattia invalidante passa anche dalla consapevolezza che alcuni luoghi vanno semplicemente abbandonati (e anche alcune persone, lasciamelo dire). Ti va di raccontarci cosa significa convivere con la artrite psoriasica, quali sono le ricadute sulla tua vita personale e lavorativa e come hai vissuto la Pandemia?
Convivere con l’artrite psoriasica - e credo valga per più o meno tutte le patologie autoimmuni e per il dolore cronico in generale - è più o meno come convivere con un vicino di casa molesto: puoi provare a lamentarti ma quella va avanti a fare i fatti suoi e se ne frega di te, e non è che ci sia molto da fare, se non sopportare. Il fatto è che, proprio come il fastidio di un rompiscatole, il dolore non si vede ma ha ricadute importanti sulla vita quotidiana.
Per me vuol dire dover rivedere di continuo la routine, adattare l’agenda facendola diventare fluida e cambiare di molto la vita sociale. Come soggetto fragile ho dovuto ridurre al minimo il contatto con gli altri e la frequentazione di luoghi pubblici al chiuso. Essere immunodepressi vuol dire che il tuo raffreddore può diventare con molta probabilità una mia polmonite. Da un luogo chiuso in cui qualcuno starnutisce e tossisce io uscirò certamente malata; se vedo degli amici, anche in casa, devo accertarmi che non abbiano anche quelli che loro considerano solo semplici seccature, come un po’ di naso chiuso, perché gestire la malattia per me vuol dire anche interrompere le terapie con un effetto domino importante sul mio stato di salute generale. Inoltre mi può capitare di fissare un appuntamento e poi non poterci essere perché magari quel giorno non sono in grado di arrivare da sola neanche dal letto al bagno. Non hai mai modo di sapere come ti sentirai domani e come lo spieghi a chi sta dall’altra parte e - giustamente - il tuo dolore non lo vede?
È complicato spesso anche solo spiegarsi, farsi capire. Le persone - le persone sane - si offendono o, nella migliore delle ipotesi, faticano a capire le ragioni di chi con la disabilità deve fare i conti in ogni situazione. A me tocca decidere se andare o non andare in qualche posto a seconda di quanti gradini ci troverò da fare all’interno, quanto dovrò stare ferma in piedi o quanto dovrò camminare, quanto ferma su una stessa sedia - magari scomoda - finirò per stare perché questo potrebbe non solo impedirmi di godere dell’esperienza ma anche lasciare strascichi importanti sulle giornate successive in cui magari devi lavorare.
La solitudine nella quale si finisce un po’ per stare volontariamente - per proteggersi - e un po’ creata dal progressivo abbandono di molte delle persone che non vorranno fare i conti con la tua malattia, è uno dei grandi problemi della malattia cronica. La Pandemia ha forse esasperato il tutto. Poteva essere l’occasione per comprendersi di più, trovandoci tutti dalla parte di chi rischia, invece non ha fatto che allontanarci.
C'è qualcuno che, ripensando alla strada percorsa, vuoi ringraziare?
Mio marito e gli amici che in questi anni mi sono stati accanto nel cambiamento professionale e anche personale: persone speciali che mi hanno offerto supporto fisico, morale, spirituale e un adeguato numero di gin tonic.
Mannaggia a me e alla mia astemia :) E qualcuno che invece proprio no?
Quella stronza di artrite, di cui avrei fatto volentieri a meno. Per il resto, il risentimento è una fatica inutile e sì, anche nella mia vita ci sono state delusioni, bagni indesiderati di realtà e disillusioni, ma tutto passa e non c'è spazio per chi li ha causati nel mio presente. Sarà la sopraggiunta (e tanto desiderata) vecchiaia o è forse che, quando tutto diventa impegnativo e ti devi misurare i "cucchiai" di energia, li metti in cose che ti facciano stare bene. Dunque, piuttosto che portare rancore, io porto una torta.
La saggezza della vecchiaia ce l'hai già. Io ancora rimugino su litigi del 1983...Pensa a un oggetto che per te simboleggia la tua storia.
Credo di poter affidare questo compito solo alla mia macchina fotografica.
Attraverso la sua lente e i miei scatti potrei raccontare anche senza parole il cambiare ed evolversi del mio sguardo sulle cose e anche quanto sia cambiata la mia vita. Insieme continuiamo a cambiare e qualche volta avere un occhio extra è stato di grande aiuto. Forse mi racconta bene anche la mia canzone preferita: "I walk a little faster" di Fiona Apple. Dietro a ogni angolo ci può essere un'opportunità, non ho più smesso di aspettarle.
Cosa consiglieresti a chi si trovasse in una situazione simile a quella che hai vissuto tu?
Liberarsi del pregiudizio. In questi anni mi sono spesso trovata a discutere con persone - donne soprattutto, ma ritengo che l'approccio sia trasversale - che si sono precluse possibilità o non hanno colto opportunità per rispondere a etichette che si erano o che erano state loro appiccicate addosso o perché incastrate dentro un sistema in cui è tutto o bianco o nero. Io stessa, per molto tempo, sono stata bloccata dall'idea che non si potesse, che poi l'età, che serve coraggio, che poi gli altri che diranno. Tutti paletti intorno ai quali ci ostiniamo a far girare le nostre vite. Uno dei detti napoletani che più amo è: "stiamo tutti sotto al cielo" e questo è, niente di più e niente di meno. Ti può piovere sulla testa ogni cosa, non sarai eterno, questa è la vita, è ora. Ci saranno sfighe che non potrai schivare - tipo una malattia autoimmune - ma il cielo è grande, le possibilità sono infinite ed è solo continuando a muoverci, mentre godiamo di quello che c'è, che tutto può continuare a succedere.
Grazie Valentina e sempre viva Napoli e il suo patrimonio immenso di detti memorabili.
E a te che leggi dico che se vuoi conoscere meglio la patologia di cui soffre Valentina, la PSA - Spondiloartrite Psoriasica, trovi delle storie in evidenza sul suo profilo Instagram.
Se invece vuoi conoscere la mia, continua a leggere Controra. Il mese di aprile, che è il mese del mio compleanno, sarà interamente dedicato proprio a questo, sperando che possa essere di supporto a qualcuno, perché qua ci piace lamentarci ma più di tutto ci piace sapere di farlo con qualche utilità (ti spiegherò anche cos’è la “teoria dei cucchiai”).
Ti ricordo, come sempre, che la prossima stanza potrebbe ospitare la tua storia, se ti va; ma puoi anche suggerirmi di invitare qualcuno che ne abbia una davvero imperdibile!
A presto!
Controra è gratuita, ma se vuoi supportare le mie spese oculistiche per le diottrie perse in anni di ricerca di contenuti, puoi sempre fare quella cosa del caffè (se cogli la citazione ti voglio molto bene!)
E se vuoi scrivermi io rispondo sempre, mica come chi lo dice e non lo fa!
Sorprendentemente nella mia nl di oggi c’è lo stesso detto che ha ricordato Valentina. Perché davvero “stamm’ tutti sotto ‘o cielo” 🩵☁️
Anch’io davanti alla tazza di te, medito sulle possibilità della vita e su come il dolore invisibile dia fastidio a chi ce l’ha e infastidisca chi non ce l’ha.
Grazie!