Controra è molto lunga e molto piena di cose. Ti consiglio di leggerla dalla app di Substack, è più comodo e più bello!
Ehi ciao, buona domenica. Ho riscritto questa introduzione tre volte, perché la realtà, che ormai supera qualsiasi fantasia, fa diventare obsoleta ogni riflessione dopo cinque minuti. E quindi che ti devo dire, speriamo che da quando ho mandato in programmazione Controra a oggi non sia successo qualcos’altro. Eventualmente, cosa leggerai qui sarà l’ultimo dei nostri problemi.
Un agile riassunto della situazione, oltre che nella geniale matita di Andrea Bozzo, lo trovi anche da
, che è una delle voci con cui mi sento più in sintonia ultimamente (la sua newsletter ha già trovato spazio qui l’anno scorso).E tu stai bene? Stai così così? Fammi sapere, parlami un po’ di te, se ti va.
Da tempo rimuginavo su quello che ti dirò oggi, e io quando rimugino lascio in giro commenti criptici, per ricordarmi dove ho tratto qualche ispirazione:
(inutile che lo scriva, ma vabbè: Martino è una persona da leggere)
Schiaccia “play” e andiamo.
Parliamone (dell’unico filtro a cui non potrei rinunciare)
“Vincenzo Provvisionato, arrived 1923, aged 28".
C'è scritto così sui documenti che ho recuperato nel 2017 all'Ellis Island Museum of Immigration. Prima di prendere il traghetto per l’isola, l’ho osservata dall’alto del One World Building e ho pensato a lui, che aveva guardato quella maestosità prima di me e di mio figlio, in qualche modo dandoci la possibilità di esistere, e essere lì.
Vincenzo era mio bisnonno da parte di madre, uomo di grande spirito e dalle mirabolanti avventure, chissà fino a che punto reali. Era arrivato al porto di New York il 9 settembre 1923 sulla nave “Conte verde” salpata da Napoli. Chi lo ha conosciuto racconta di un uomo altissimo, con le braccia tatuate e il gusto per i racconti di storie inverosimili e gradasse.
Vincenzo fu un viaggiatore; tracce di lui lo piazzano, a un certo punto, anche in Sudamerica; e fu anche un clandestino: fece più volte la traversata dall’Italia anche con questo abito addosso, simile a quello dei clandestini di oggi, chi più, chi meno fortunati di lui. La fece talmente tante volte, che uno dei suoi racconti lo vede protagonista di un gesto di ribellione contro le lunghissime procedure di selezione che subiva chi arrivava dall’Italia (e che si possono intuire leggendo le schede di identificazione dei passeggeri, zeppe di dati): si tuffò dalla nave e raggiunse la spiaggia a nuoto. Praticamente un film di Garrone con il solito Favino.
Di lui mi resta una cosa reale: una canzone (anche canzoniere!) sulla sua migrazione da un continente all'altro.
“Primm’ ’e lassà ll’Italia/i nun sapevo niente truvare, ’nterr’ ’America/miseria e turmiente”
“Chest’ ‘è tterra d’ ‘e dollari/cchiu dduno parla sulo/e manche ‘e fasule te può arriva’ a sfama’ “
Vincenzo si lamenta di essersi indebitato per poi finire, ancora più rovinato, in un paese in cui c’è gente che dorme per strada, e maledice in dialetto pugliese strettissimo i responsabili delle sue sventure, facendo un puntiglioso e spassoso elenco. Si lamenta di tutti: della sorte, della moglie che lo ha incoraggiato a partire, anche del sindaco di New York (quando scrivevo che il lamento mi è familiare, non parlavo a caso).
Andiamo avanti veloce di parecchi anni: anche io a un certo punto ho lasciato casa mia, per approdare in luoghi non così lontani, ma altrettanto respingenti. Non mi sono buttata da una nave, ma un salto nel vuoto in un certo senso l’ho fatto, approdando in un posto che ancora oggi, dopo tanti anni, mi fa fare tanta fatica e mi ricorda che siamo sempre stranieri per qualcun altro: “estraneo” il nostro accento, estranee le nostre abitudini, estranea la nostra mentalità, modo di vestire, scherzare, salutare, reagire. Un balletto continuo, per trovare un modo di comunicare e non restare rinchiusi nei propri recinti. Un balletto faticoso, e che ognuno in questa condizione affronta a modo suo. Io lo faccio con qualcosa di Vincenzo che mi piace pensare viva ancora in me: è il filtro che uso sempre, la sua stessa ironia scanzonata che indosso per difendermi dalle mazzate della vita, dalla nostalgia, dal sentirmi abbandonata e in balia degli eventi, della disillusione e del tempo che passa. E’ lo stesso che uso anche qui; mi sembra renda tutto più sopportabile, e magari adesso lo comprendi un po’ meglio.
Vincenzo pare non si perdesse facilmente d’animo (e infatti la sua canzone ha un motivetto allegro) e amasse reinventarsi, interpretando tanti ruoli diversi e, in questo modo, restando in realtà sempre, profondamente se stesso. Quella energia vitale, che invece di scemare con gli anni resta sempre vigile a guidare scelte e comportamenti, la rivedo in sua nipote, mia madre, 81 anni e sempre in prima linea a capire, studiare, imparare, nei viaggi infiniti e complicati alla ricerca di risposte di mio fratello, e anche in me, che magari vado dritta verso lo strapiombo, distratta dalle mille letture e dalle deviazioni cui mi costringe la mia curiosità, ma facendomi una gran risata.
Se vuoi ascoltare la musica di Vincenzo, eccola qui:
Al pianoforte, ovviamente, Fabio Coppini :)
Chissà cosa penserebbe Vincenzo di questo posto che ho chiamato con una parola a lui familiare e che avrà sicuramente portato sempre con sé. Forse sarebbe felice di sapere che questo non è una viaggio solitario, come fu il suo, ma che la Controra la facciamo insieme, io e te, condividendo le nostre risate, più o meno amare.
Cose da cliccare, guardare, gustare, salvare (con blocco note accanto, come sempre)
📚 Letture
Ho finito Diluvio, e sono ancora scossa, anche perché ogni giorno che passa sembra avvicinarci sempre di più agli scenari che ho letto. Se vuoi conoscere meglio il suo autore, recupera il bellissimo Ohio, che spiega tanto delle cose incomprensibili che vediamo accadere oggi.
Ci sono storie che possono avere una sola ambientazione: la provincia rurale americana. Che non è quella problematica ma aperta alla speranza di Kent Haruf, ma un microcosmo desolato e sconfitto dove si torna per seppellire un amico e fare i conti con il passato che non passa mai. Qui leggerai quattro storie che si intrecciano, ognuna con il suo carico di rimpianti, scelte sbagliate, degrado e violenza, che si distende essa stessa in quattro rami contorti e graffianti, che imprigionano i protagonisti in destini che sembrano predestinati.
Su tutto, come una coperta sporca, poggiano le conseguenze dell’11 settembre e il trauma della guerra, la crisi economica, il fallimento della politica, l’orizzonte scrostato e miserevole di una generazione lasciata sola con il proprio coraggio e la propria indicibile infelicità. E poi c’è un mistero, “l’omicidio che non c’è mai stato”, che aleggia su tutti i racconti come un’eco lugubre di quei fantasmi che non possiamo ignorare.
“Il feretro non conteneva nessuna salma.”
📺 Schermi
Un progetto favoloso: Memoryscapes è una piattaforma in continuo aggiornamento, che raccoglie l’archivio dei film di famiglia e amatoriali del Novecento raccolti da Home Movies - Archivio Nazionale del Film di Famiglia di Bologna. Un patrimonio di 3000 filmati brevi che potrai esplorare attraverso le Serie e i Percorsi già organizzati, oppure ricercando anni, temi, luoghi, formati e autori, scoprendo “le trasformazione del paesaggio italiano, i cambiamenti sociali, degli usi, dei costumi e della vita quotidiana dagli anni Venti e Ottanta del Novecento: dalla Guerra ai giorni felici della Liberazione, dai momenti del boom economico a quelli di emancipazione femminile, dalle proteste alle manifestazioni. Un mosaico di ritratti, sguardi e vite attraverso la lente dei cineamatori”. Qui il trailer della Serie dedicata al cibo.
Altri consigli, dai miei 598235 appunti:
l’ultimo capitolo della serie di Alien, Alien: Romulus mi è sembrato molto più convincente degli ultimi tentativi della saga, forse perché pieno di citazioni e rimandi al classico del ‘79. Uno svuota-mente per distrarsi con qualche mostro che possiamo sconfiggere.
per ripensare ai bei tempi che furono, recupera John Adams, su Sky o Now.
E’ una mini serie forse poco nota ma che merita la tua attenzione. La storia della Rivoluzione Americana e di uno dei suoi padri fondatori, nonché secondo Presidente dopo George Washington (il rumore che senti sono certamente loro due che si rivoltano nella tomba, prima di uscire con Vincenzo e Rocco e andarsi a ubriacare). Fedele alle fonti, e molto realistica, ha un ottimo cast capitanato da Paul Giamatti, superbo nel raccontare un uomo i cui princìpi lo porteranno a vittorie e sconfitte, e Laura Linney, meravigliosa madre, moglie e grande ispiratrice.
non male Land, l’esordio alla regia della sempre convincente Robin Wright, non fosse altro che per i paesaggi selvaggi e maestosi delle Montagne Rocciose canadesi. Una storia di elaborazione del lutto con dentro tante cose a cui ho pensato per qualche giorno, compresa questa versione bellissima di I’m on fire:
Qui è dove ti ricordo che puoi chiudere Controra e riprenderla in un altro momento per gustare meglio tutto quello che c’è dopo. Puoi aprirla e sfogliarla come si faceva con le riviste cartacee che tenevamo vicino al divano o sul comodino, un po’ alla volta.
🎙 Podcast (con un ospite)
Per la seconda volta in pochi mesi ho parlato in un podcast, e quanto a soddisfazione direi che potrei anche chiudere bottega. Scherzi a parte, sono state entrambe occasioni per avere la conferma che sto andando nella direzione giusta, e cioè quella di stringere legami e ritrovarsi fra persone che si somigliano. Dopo Cara è la fine, sono finita in Quante storie nella scatola di latta, un progetto 100% pugliese nato dalla mente mai quieta di Gianluca Palma, che non a caso ho invitato qui proprio oggi per parlaci di lui e di tante cose bellissime che vorrei conoscessi anche tu.
Ciao Gianluca, benvenuto, parlaci di te e di cosa fai.
Sono Gianluca Palma, da Botrugno, paese di 2700 abitanti in provincia di Lecce. Negli ultimi quindici anni mi sono occupato di politiche attive per il lavoro e di formazione professionale. Dopo la laurea in Scienze per la cooperazione e lo sviluppo volevo trovare un modo per contribuire al benessere del mio territorio. Mi sono chiesto come applicare sul campo le teorie e modelli dello sviluppo, in particolare nel Mezzogiorno d’Italia, e nel 2010 ho fondato l’associazione di promozione sociale La scatola di latta, uno scrigno di beni comuni, di luoghi, storie e persone «raccolti come fiori, con riguardo e cura», errando per le vie dei paesi, delle frazioni, periferie e campagne del sud della Puglia. Da una parte ci sono i luoghi, dall’altra le persone e al centro ci sono le storie. Insieme ad un gruppo di amici proviamo a custodire la conoscenza, coltivare le relazioni e praticare la restanza. Lo facciamo promuovendo occasioni di coinvolgimento delle comunità locali, attraverso passeggiate spontanee e incontri civico-culturali, con un chiaro invito a scoprire la bellezza (e la bruttezza), favorendo un’educazione estetica, critica e poetica fruibili a tutti. Sono iniziative il più possibili spontanee, ma anche inedite e irripetibili, perché difficilmente si ritorna nello stesso paese e, quando accade, il ritorno comporta l’attivazione di altre energie e competenze ad arricchire nuovi sguardi, nuove sinergie e nuove scoperte. “Comunità provvisorie” di persone si ritrovano spontaneamente per conoscere e conoscersi, per ascoltare e ascoltarsi, per raccontare e raccontarsi di storie di erranza ma anche di restanza.

Prima parlavo della tua mente mai quieta, e infatti dal mondo della “scatola” si sono ramificate negli anni tantissime iniziative, che chi legge può andare a approfondire sul vostro sito o sui social.
Sì, da una decina d’anni organizziamo molte iniziative. Faccio solo qualche esempio:
- la rassegna “La poesia nelle piccole cose” - incontri che accompagnano le persone nelle case di “persone stra-ordinarie”, nelle aziende e nelle botteghe degli artisti/artigiani invitando ad osservare, conoscere, ascoltare e “festeggiare” questi luoghi e le persone che li abitano
- gli incontri “Storie di Restanze e Partenze” - in cui i residenti, i ritornanti, gli stranieri, i richiedenti asilo raccontano perché partono, perché restano, perché vengono o tornano in Salento. Un confronto non sempre facile, ma che ha reso possibile superare i pregiudizi ed essere più accoglienti l’uno con l’altro, favorendo contaminazioni culturali ed emotive e incoraggiando una sorta di identità “glocale” aperta “all’altro”.
- il progetto de “Le tesi del Salento”: un portale nel quale aziende, agenzie per la ricerca di personale qualificato, giornalisti, case editrici, studi legali, commercialisti, liberi professionisti e lettori interessati potranno leggere i lavori di tesi e i relativi curricula e contattare gli stessi autori per proporre loro opportunità di lavoro, consulenze, contatti e progetti.
- e poi il podcast "Quante storie in una scatola di latta" che raccoglie storie e testimonianze di persone con belle storie d'Italia.
Tra le quali, immeritatamente, c’è anche la mia. Tutte queste iniziative hanno come filo conduttore la convinzione che i paesi siano i luoghi ideali in cui sperimentare politiche innovative da un punto di vista civico, sociale ed economico. È da questo presupposto che nel gennaio 2020 avete presentato a livello nazionale “Daìmon: A scuola per restare”. Di cosa si tratta?
È una scuola che non terminerà mai: itinerante, multidisciplinare, inclusiva, gratuita e accessibile a grandi e piccini; senza porte, pagelle, compiti; con “luoghi di apprendimento” disseminati nei campi, nelle cantine e nelle botteghe, diffusa nei paesi e nei paesaggi d’Italia. Una scuola adatta a chi vorrà abitare poeticamente e civicamente i propri territori e a chi vorrà conferire pienezza al proprio re-stare.
Da decenni l’Italia è vittima del calo demografico e di una migrazione interna pressoché unidirezionale da Sud al Nord. Noi pensiamo che sia fondamentale preservare il patrimonio culturale e naturale dei piccoli centri, per tutelarne la produzione agricola, culturale, artigianale, enogastronomica, economica. E ci riconosciamo nel concetto di “restanza”, coniato dall’antropologo calabrese Vito Teti; un rimando alle parole “erranza” e “lontananza”: un atteggiamento attivo e propositivo, da praticare nella quotidianità, lavorando a una ridefinizione continua dell’ambiente, recuperando e rigenerando il paesaggio in relazione alla presenza dell’uomo, in piena armonia. La nostra idea è che si possa restare anche con un entusiasmo del viaggiatore. Emozionarsi, entusiasmarsi nel vivere il proprio paese cogliendo ciò che spesso ci sfugge, trovando nuovi significati, rinnovando con propositività, rispetto e cura per il territorio.
I paesi rappresentano una grande risorsa, possono essere luoghi dove sperimentare politiche innovative dal punto di vista civico, sociale ed economico, dove costruire nuove relazioni con i luoghi e le comunità, dove si può (e si deve) parlare di futuro immaginarlo e costruirlo insieme. L’etica della restanza non promette una rivoluzione, ma indica la strada per costruire avamposti contro l’impoverimento culturale e per erigere zone di accoglienza verticale e orizzontale, per creare rete, scambio di saperi, corrispondenze e quindi arricchimento.
Ed è proprio questo che la scuola chiede in luogo di una quota di partecipazione: un baratto in sapere, manufatti, tempo, ospitalità, prodotti o edificanti segreti per un abitare consapevole. Daìmon vuole favorire occasioni di confronto fra diverse comunità, approcci, individualità. Promuoviamo perciò la consapevolezza anche psicologica del rimanere: chi resta può dare una mano a sviluppare l’economia, la nostra è una filosofia ma vuole far quadrare anche i conti. Non siamo nostalgici né campanilistici, quello lo lasciamo a chi pensa di voler tracciare confini tra noi e gli altri. Abbandoniamo la logica della competizione: tutti i territori hanno qualcosa da dire e da offrire alle persone, in primo luogo a chi ci abita.
Meraviglioso, e di questi tempi quello che ci stai raccontando diventa davvero prezioso. Per me, questo approccio è davvero una delle armi segrete che già possediamo, spesso senza saperlo, e che potremmo tutte e tutti utilizzare nei settori più diversi. So che le vostra iniziativa sta andando benissimo.
Sì, dalla pubblicazione del manifesto della Scuola, nel gennaio 2020, ad oggi hanno aderito oltre 500 persone/realtà: come docenti, come alunni, come collaboratori da ogni parte d’Italia. Nel 2024 abbiamo istituito l'Archivio e la mappa nazionale degli agricultori, agitatori culturali, sarti di comunità e artigiani dell'immaginario.
E da quest'anno abbiamo creato anche i gruppi WhatsApp regionali per coinvolgere gli aderenti alla scuola per restare e chi vorrà abitare civicamente il mondo.
Grazie Gianluca, sono molto felice di averti ospitato in questa Controra che per me ha un significato speciale. Te l’avevo annunciato nel podcast e ora avrai capito perché 😊…
🖋 Newsletter
Percepisco un alone di negatività che aleggia su di noi. Quindi oggi ti segnalo Gratitude Polaroide, la newsletter di Federico Favot che ogni settimana ci fa scoprire dieci motivi di gratitudine. E’ uno di quei progetti che invidio molto perché riesce a condensare tante cose in un “contenitore” all’apparenza piccolo (il contrario della mia logorrea).
🔗 E siamo ai link:
i controlli a Ellis Island
una preghiera laica
Vincent Price versione Masterchef
le più belle immagini scientifiche del 2024 scelte da Nature
ti regalo una cosa Hermés originale (mica come fa la ministra con la minuscola)
long read: la storia strepitosa del leggendario Dakota Building (ma anche di tante altre cose)
una cosa scoperta dentro Gratitude Polaroid: la poesia dorsale.
Infine, il consueto screenshot finale. Magari letta così, si capisce meglio la portata di quello che sta succedendo di là.
Mentre sono qui che mi domando per mano di chi perirà questo nuovo impero del male (un virus? i bistrattati impiegati pubblici? un uragano che nessuno potrà prevedere perché stanno licenziando tutti anche in quel settore?), io ti ringrazio del tuo tempo; noi ci rileggiamo nella prossima Stanza degli ospiti: conoscerai un’altra persona che, come me, cerca storie di cambiamento. Stammi bene, 🌸
Oddio, la poesia dorsale… 😍😍😍
Felice di averti indirettamente ispirata, bellissima la storia di tuo zio e delle radici che ci vincolano. Mi hai fatto pensare che gli americani ne sono un po’ ossessionati: è come se, avendo una storia più breve, dovessero sempre ricondurre tutto alle loro origini. Interessante riflessione psico-sociale-storica. Vale un po’ per tutti, mi sa.
Grazie, anche per la segnalazione :)