CONTRORA #20 "Superpoteri"- parte 2
Giorgio, Leonardo, Rudi, Luca e pure io, come quota rosa.
Ciao, buona domenica e grazie di essere in Controra anche oggi. Questa è la seconda parte del mio progetto speciale di settembre dedicato ai superpoteri che ci aiutano a portare avanti le nostre missioni impossibili. La prima la trovi qui. Missione impossibile, per chi è senza MI5 alle spalle o agenzie segrete a supporto, non significa lanciarsi dagli aerei senza controfigura come Tom Cruise, sfidando il tempo che passa e forse anche il buon senso, ma, banalmente, riuscire a portare avanti i nostri impicci quotidiani con onestà, impegno e coraggio, senza farci abbattere dalla sensazione che ogni sforzo sia vano e che siamo solo inutili ingranaggi nella ruota gigantesca della storia. Anche oggi leggerai i contributi di persone che fanno cose diverse, mi auguro che possano ispirarti, magari confortarti e, spero davvero, darti fiducia. Buona lettura.
Giorgio Cappozzo
Ogni giorno una leonessa si sveglia, si prepara un cappuccino e fa colazione scorrendo le notizie. GRAVE ERRORE, perché ogni giorno quella leonessa rischia di strozzarsi o farsi venire una paresi a forza di alzare il sopracciglio al cielo di fronte alle perle quotidiane che ci riservano i nostri personaggi preferiti per modo di dire. E ogni giorno, di fronte alle fantasmagoriche uscite di un GCM (generale con la minuscola) o di un ministro a caso, quella leonessa pensa al suo amico Giorgio e si domanda: chissà se lui pensa “daje che questi fanno il lavoro al posto mio” oppure “me ne vado in pensione, che posso inventarmi di più”. Giorgio è Giorgio Cappozzo, giornalista, sceneggiatore e autore televisivo e chi meglio di lui può suggerirci come fare quando le parole non è che siano finite, è proprio che si sono suicidate in massa di fronte a una realtà che supera qualunque fantasia. Lo trovi anche qui e qui. Caro Giorgio, ora tu mi sveli qual è il tuo superpotere:
Avere un super potere presuppone che tu sia un super eroe, e io non sono un eroe, tantomeno super. Non muovo gli oggetti con il pensiero, non volo e non moltiplico i pesci. Però una cosetta me la riconosco: quello di non avere memoria. Non è proprio demenza, e neppure memoria selettiva (capace che ricordi delle solenni fregnacce a discapito di snodi fondamentali). Per fare un esempio, il mio primo ricordo risale ai 3 anni, dunque abbastanza precoce, l’immagine del treno in occasione del primo viaggio con mia madre, e poi le sinapsi si risvegliano intorno al 13 anni. Cosa sia accaduto nel frattempo, boh. E così via nei lustri a seguire. Dei miei anni di liceo ricordo sì e no cinque sequenze, peraltro annacquatissime. Della mia fidanzata a 18 anni ricordo il primo e l’ultimo giorno. Buio totale del mio trascorso da boy scout.
Con l’avanzare dell’età la cosa è andata peggiorando, tanto da rendersi necessari esercizi sinaptici per ricostruire gli eventi passati. Flessioni cerebrali di mantenimento. La domanda dunque è: perché questa latenza dovrebbe rappresentare un super potere? Primo, per disperazione, che credo sia una delle ragioni comuni a molti super eroi. Non penso che l’uomo torcia sia felice di prendere fuoco. Ne ha fatto di necessità virtù e l’ha abilmente trasformato in super potere. Lo stesso vale per l’Uomo ragno e la sua imbarazzante tutina. O per Batman che poteva uscire solo di notte. Unica eccezione, forse, l’uomo invisibile, che può farsi indisturbato gli affari degli altri. Ma non escludo che anche l’invisibilità abbia qualche effetto sul piano psicologico. Insomma, forte dell’esperienza di questi colleghi, mi sono convinto anche io a trasformare un grave difetto in un punto di forza.
Che potessi avere qualche virtù lo capii ai tempi della scuola, quando nomi e date della lezione di storia mi restavano in mente non oltre le due ore. Allenai una tecnica che, secondo una definizione neutrale, potremmo descrivere come attitudine al ragionamento e alla deduzione, detto più prosaicamente, paraculaggine. Di fronte a un tracciato logico che richiedesse la conoscenza mnemonica sviluppai una velocità ammirevole nell’individuare scorciatoie, diversivi, comparazioni suggestive, premesse infinite, oltre a un uso del diaframma che restituiva alla voce una pasta suadente a prescindere dal contenuto. Non sempre funzionava, ovvio, ma spesso.
Anche con il lavoro, e nelle relazioni professionali in genere, mi affido a ogni linguaggio possibile, compresa una studiata prossemica fisica. Di fronte a una persona di cui non ricordo nulla o per sostenere un argomento di cui mi sfuggono capo e coda, invito il mio corpo ad assumere una posizione dominante, con le spalle ben aperte, sguardo fisso e tono assertivo. Non è un piglio aggressivo, anzi, direi quasi accogliente e protettivo. Da maschio alfa rassicurante. So che può suonare terribile, ma non è che Hulk sia tanto meglio.
Se posso, è una tattica che funziona egregiamente anche per noi donne; io, che ho la memoria di Dory, la uso quotidianamente. Ma andiamo avanti.
Avere pochissima memoria, dunque pochi ricordi, mi concede inoltre il lusso di fare pochi conti col passato. Quando l’inconscio mi vorrebbe assillare con rimpianti e rimorsi, la mente mi soccorre con l’avviso “file not found”. L’inconscio si arrende e si mette in pausa. Se non è un super potere, poco ci manca, ne converrai. Come tutti i poteri è anche un destino. Tornando ai colleghi, Superman può travestirsi quanto vuole in Clark Kent, ma nulla può contro il richiamo delle ingiustizie. E questo è l’aspetto più drammatico: non potersi sottrarre a ciò che la natura, dio, i pianeti, mamma, ha stabilito per te. Non c’è scelta. O meglio, la scelta, ogni scelta, può solo derivare dal potere che ti ritrovi in sorte e questo fa dei super eroi figure tragiche, solitarie, infelici e senza scampo. Ma il mio, in fondo, è un “potericchio” che non salva vite, non uccide mostri e non sventa alcuna sciagura. Serve solo a evitare qualche sofferenza e sviluppare altre facoltà. Vorrei poter sostenere che l’aver fatto della scrittura il mio mestiere derivi dalla mancanza di memoria, e dunque dalla necessità di fermare sul foglio pensieri e idee. Ma temo che non sia così. Mi ritrovai a fare Lettere, perché a Giurisprudenza, a cui mi iscrissi in prima battuta, occorreva ricordare gli articoli, e come mi disse un assistente, nell’ultimo tragico esame di diritto, “ci sono facoltà umanistiche dove può imbastirla meglio”.
Perché in fondo credo che il punto sia proprio questo: non è tanto il super potere in sé, quanto trovare la Gotham city in cui esercitarlo.
Leonardo Bianchi
Delle millemila newsletter a cui sono iscritta, ce n’è una in particolare che ho segnalato qui e che mi lascia sempre addosso un misto di ansia, inquietudine strisciante e mani nei capelli, e che sintetizzerei così: 'o fridd' nguoll; ma non potrei mai farne a meno perché, come dico spesso, io devo sapere e capire TUTTO, anche se la conseguenza è affacciarmi spesso sull’orlo dell’abisso. Complotti! del giornalista Leonardo Bianchi, fa questo: ti mostra e ti spiega da dove nascono e perché proliferano le teorie del complotto, molte delle quali abbiamo visto all’opera negli ultimi anni, più gagliarde che mai. Se ti stai chiedendo come si fa a combattere la battaglia impari tra te e lo zio no-vax al pranzo di Natale, ma anche quando si tratta di prospettive più ampie (tipo ministri non più cognati che millantano complotti a tema cibo, e sempre ai ministri torniamo!), be’, è quello che mi domando sempre anche io. Giro la domanda al diretto interessato che da anni, imperterrito, prosegue in questa sua personale missione impossibile. Lo trovi anche su Instagram, X/Twitter, TikTok e Bluesky. Ciao Leonardo, grazie di essere qui, raccontaci qual è il tuo superpotere:
Non so se la passione verso qualcosa può essere considerato un superpotere, ma se è così allora so perfettamente quando ho iniziato a sviluppare la mia passione per le teorie del complotto: dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001. All’epoca ero un adolescente, e come chiunque ero rimasto sconvolto e stupefatto dall’attacco coordinato di Al-Qaeda. Ovviamente non potevo conoscere la complessità del quadro geopolitico dell’epoca, né tanto meno la storia e l’ideologia del gruppo terroristico fondato da Bin Laden – ma del resto non la conoscevano bene nemmeno le agenzie di sicurezza statunitensi, come dimostra l’eccellente saggio di Lawrence Wright Le altissime torri *. Questo vuoto di conoscenza è stato così riempito dalle varie teorie del complotto: le Torri le ha buttate giù il governo statunitense dell’epoca attraverso “demolizioni controllate”; sul Pentagono si è schiantato un missile e non un aereo; il volo United 93 è stato segretamente abbattuto; e così via. Molte di queste teorie sono poi confluite in Loose Change, il primo documentario complottista dell’epoca contemporanea che è girato molto anche in Italia. Ora: non posso dire di aver creduto alle teorie sull’11/9, perché comunque trovavo più convincenti gli approfondimenti e le verifiche di riviste come Popular Mechanics; ma ne sono rimasto estremamente affascinato, quello sì.
In particolare, mi aveva colpito la loro potenza narrativa: di fronte a un evento storico così dirompente e clamoroso, la spiegazione non poteva che essere altrettanto dirompente e clamorosa. In termini psicologici, questo processo si chiama bias di proporzionalità – ed è una delle componenti fondamentali del complottismo. Da allora mi sono sempre occupato di teorie del complotto: prima per il mio blog, poi per le testate per cui ho lavorato, e infine in maniera verticale con la newsletter Complotti! (che è anche diventata un libro).
Ho letto moltissimi testi sul tema (il più seminale è stato A Culture of Conspiracy del professore statunitense Michael Barkun); ho seguito varie manifestazioni cospirazioniste; e sono finito dentro tante tane del Bianconiglio, sia online che fuori. Attraverso questa copertura giornalistica costante mi sono accorto ben presto che l’idea generale sul complottismo e sulle persone complottiste è del tutto sballata. Secondo la vulgata generale, i complottisti sono persone disturbate, ai margini della società, che vanno in giro con cappelli di carta stagnola in testa o pensano di essere inseguiti da elicotteri neri – un po’ come Mel Gibson nel film del 1997 Ipotesi di complotto. Dopotutto, questo assunto conforta la maggior parte delle persone: noi non siamo come loro. Tuttavia, come hanno rilevato diversi sondaggi e studi, le teorie del complotto permeano ogni strato della società e si distribuiscono più o meno equamente sullo spettro demografico, socioeconomico, occupazionale, di genere, culturale e ideologico. A riprova di ciò basti pensare al fatto che molti uomini di potere fanno un ampio ricorso alle teorie del complotto; e questo atteggiamento non riguarda solo populisti di destra radicale alla Donald Trump o alla Jair Bolsonaro, o la nostra presidente del consiglio Giorgia Meloni, ma figure storiche insospettabili come Winston Churchill e Abraham Lincoln.
Al di là dei leader politici, sono sicuro che a chiunque sarà capitato di confrontarsi con almeno un parente, amico o genitore caduto in qualche gorgo complottista. Ecco: vi sarete accorti che anche solo discuterci è dannatamente difficile; figuriamoci tirarli fuori da quella spirale. Come dicono praticamente tutte le persone esperte, non esiste una bacchetta magica per convincere una persona a smettere di credere in certe fantasie complottiste. Anche perché, e questo lo spiega molto bene Rob Brotherton nel saggio Menti sospettose, chiunque potrebbe finire col credere in una teoria del complotto. Ecco il problema fondamentale: non c’è alcun noi contro di loro; noi siamo loro.
L’altro elemento cruciale che alimenta il complottismo è il contesto storico. Le probabilità di credere in una teoria aumentano sensibilmente nei momenti di crisi – e tra pandemie, cambiamenti climatici e guerre, questo non è un gran momento per l’umanità. A tal proposito, per usare un’espressione del filosofo Paolo Virno, le teorie del complotto costituiscono il “doppio agghiacciante” dei periodi segnati da sconvolgimenti epocali: li pervertono e al tempo stesso li affiancano come un’ombra, contribuendo a plasmare la memoria delle generazioni future. Insomma: sono fermamente convinto che il complottismo non sia affatto un aspetto marginale della contemporaneità, ma al contrario uno dei fenomeni politici, culturali e sociali più centrali in assoluto. Per questo merita di essere studiato, analizzato e trattato con la massima serietà, perché – che lo vogliamo o meno – ha delle grosse ricadute nella vita collettiva e personale di ciascuno di noi.
*a proposito di questo, ti segnalo che esiste una omonima serie STREPITOSA. Purtroppo non è più disponibile su Prime Video, ma magari la trovi altrove. Il cast è stellare, lo stile asciutto e rigoroso. Agghiacciante la sovrapposizione tra filmati originali e finzione e, ancora più agghiacciante, il destino da tragedia shakespeariana di uno dei protagonisti, interpretato da Jeff Daniels. La sua storia è raccontata in un doc che trovi qui.
Rudi Bressa
È passato più di un anno dalla alluvione in Romagna di cui parlavamo domenica scorsa con Alessandra Farabegoli, e anche in questo caso, come per il Covid, non abbiamo imparato niente. Mini florilegio dei commenti più comuni:
“Eh, ma le alluvioni ci sono sempre state!”
“Eh, piove, quindi vedi che la siccità non esiste?”
“Eh, fa freddo in primavera, vedi che la siccità è una balla?”
Nella mia personale classifica delle persone che osservo fare una fatica bestiale e mi chiedo come facciano, ci sono quelle impegnate a spiegare come stanno le cose, e cioè cosa dice la scienza e non la cugina del fratello del tuo parrucchiere (con tutto il rispetto per); persone armate di santa pazienza e della tigna di chi proprio non vuole cedere. Per esempio Rudi Bressa, giornalista ambientale e scientifico, che scrive di crisi climatica e biodiversità e che trovi anche in libreria con Trafficanti di natura, un libro inchiesta unico nel suo genere che racconta il traffico illegale di specie selvatiche (e di tutte le sue conseguenze sulla vita di tutti noi). Ciao Rudi, felice di averti qui, raccontaci qual è il tuo superpotere:
Ciao Stefania e grazie per avermi invitato a questa interessante iniziativa. Devo dire che non è stato per nulla facile individuarne almeno uno. Sarà che la “sindrome dell’impostore” è sempre lì in un angolo che mi guarda, sarà che gli ultimi mesi sono stati piuttosto complicati. Non solo, ma dato il mio lavoro, spesso ho a che fare con notizie o argomenti che mettono a dura prova l’emotività e l’equilibrio mentale e fisico: occuparsi di ambiente o di clima ti porta ad affrontare tematiche davvero complesse, non sempre facili da comprendere e da comunicare. Pensa poi trasporle o cercare di renderle comprensibili ai più senza cercare per forza la spettacolarizzazione (cosa che accade ormai troppo spesso, anche tra colleghi).
Quindi, da quando ci siamo sentiti la prima volta, avrò cambiato idea una decina di volte. Qual è il mio superpotere? Nessuno me l’aveva mai chiesto a dire la verità. E, forse, non c’avevo mai pensato. Poi è accaduta una cosa che mi ha fatto riflettere (e ricordato che dovevo ancora risponderti!). Una sera dopo cena, mio figlio più grande mi ha chiesto: “Papà, ma se tu avessi un superpotere, quale sarebbe?”. A quel punto ho pensato “ma questo me l’ha chiesto anche Stefania!”. Sicuramente si sarebbe aspettato una risposta del tipo “volare” o “essere invisibile”. Ma a quel punto ho voluto rispondere con sincerità e realismo; risposta che giro anche te: “Fare la cosa giusta”.
Perché questo superpotere, quasi banale, forse troppo ordinario? Negli ultimi mesi mi sono trovato in situazioni che mi hanno portato a prendere decisioni difficili e ad aver a che fare con persone poco trasparenti, arroganti, prevaricatrici e senza troppi scrupoli. Non solo, ma la situazione generale del momento storico che stiamo vivendo mi ha imposto di “rispolverare” una sorta di etica, che può essere intesa come sinonimo di morale. Perché? Perché forse ho raggiunto un punto del mio percorso che mi spinge a chiedermi che cosa voglio lasciare ai miei figli. Quale esempio - oltre a tutti i quotidiani errori? In un mondo che è avvolto da foschie difficili da decifrare e che non ci fanno vedere chiaramente quale potrebbe essere il prossimo futuro, vorrei che potessero sviluppare quella levatura morale che serve per costruire reti sociali più giuste, più solidali, più “umane”. Là fuori è pieno di persone che si impegnano per un mondo più giusto, anche se è il quartiere o la piccola comunità. Mi son reso conto che, in tutte le situazioni che una persona deve affrontare nella vita, è importante saper riconoscere chi sta dalla nostra parte, con onestà intellettuale. Chi ci appoggia, e non solo per piaggeria. E soprattutto di mantenere una certa etica, in qualsiasi situazione ci capiti di affrontare, anche se fuori dalla bolla. È da qua che dobbiamo ripartire.
E adesso passiamo a Luca, ma prima sono necessarie alcune parole. Quello che stai per leggere è stato scritto a metà maggio, poco prima che Luca e la sua famiglia fossero colpiti dalla peggiore tragedia che si possa immaginare. Nei mesi successivi, con il cuore pesante di dolore e angoscia, mi sono chiesta a lungo come “accogliere” dentro questo spazio quella immane disgrazia, per la quale non può esistere alcuna parola di conforto. La risposta me l’ha data proprio lui, perché pochi giorni dopo era già tornato sulle sue personali barricate, con il solito piglio e l’inscalfibile impegno a denunciare le colpe di un sistema fallito e che però, nonostante tutto, non vuole abbandonare al suo destino. Più superpotere di questo non credo possa esistere e per questo, e per rispetto della sua forza vitale, ho deciso di lasciare tutto come era stato scritto. Questo mio piccolo progetto lo dedico al ricordo di suo figlio Filippo.
Facciamo insieme un bel respiro profondo, e andiamo avanti.
Luca Bellazzi
Quello che dovevo dire sul Covid e sul “ne usciremo migliori” (frase più falsa della storia a pari merito con “stavolta mi metto a dieta”) l’ho scritto qui. Oggi vorrei solo esprimere la mia vicinanza a una delle categorie che più di altre ha diritto perenne di bestemmia, ogni singolo giorno da allora, e cioè i medici di base. Lanciati in prima linea nella guerra alla malattia come carne da macello, senza mezzi e senza informazioni, spesso ammalatisi loro stessi (per non dire di peggio), oggi si ritrovano a osservare la distruzione e l’impoverimento del servizio sanitario nazionale, nonostante i proclami virtuosi e le promesse che ci siamo sorbiti per mesi e che non vi linko per carità di patria. Uno di questi medici è il dott. Luca Bellazzi che ogni giorno mi aggiorna sulla disfatta in corso attraverso i suoi post, tra piattaforme che non funzionano e burocrazia delirante. Siccome questo non gli basta, Luca è anche impegnato politicamente in una lista civica, e quindi i cialtroni al potere li combatte quotidianamente su due fronti, con uno sforzo direi paragonabile a quello di Spiderman contro il Dottor Octopus. Considerando quello abbiamo vissuto (soprattutto qui in Lombardia) e quello che ci aspetta, mi domando sempre come faccia a non darsi alla macchia. Ciao Luca, grazie di essere qui, raccontaci qual è il tuo superpotere:
io non ho superpoteri, io sono o meglio noi siamo proprio dei supereroi. Come definiresti tu gente che lavora 10 ore tutti i giorni più il sabato mattina e viene pagata ormai una cifra che è la stessa di 20 anni fa, con un carico di lavoro raddoppiato (nel 2023 ho avuto 16000 contatti registrati, figuriamoci quelli reali) e spese una volta inimmaginabili? Anche ora che ti sto rispondendo, ho gente che mi scrive per sapere del suo colesterolo dicendomi di non preoccuparmi, che posso chiamarli di sabato…
Sì, sono un supereroe e questo Paese non mi merita più, non mi meritano gli amministratori, i burocrati, i cialtroni, gli arroganti. Ma amo il mio lavoro, amo i miei pazienti che mi consultano su tutto perché si fidano. Non lo cambierei mai, nemmeno ora che pressoché quotidianamente devo perdere tempo fra portali demenziali, infrastrutture da terzo o quarto mondo e una marea di incapaci che non riuscendo a risolvere nemmeno uno dei problemi del Servizio Sanitario Nazionale non trova altro che indicare in noi, poveri disperati che non abbiamo nemmeno la forza di ribattere, gli autori del disastro. Un Paese che doveva uscire migliorato dalla tragedia del Covid, affrontata a mani nude per l’insipienza di gente messa lì per contiguità e non certo per capacità, e invece ne è uscito molto peggiorato con gente terrorizzata, perché terrorizzare la gente fa il gioco di chi il sistema lo vuole smontare senza dirlo, passando da un sistema pubblico universale a uno privato ed esclusivo. In mezzo, schiacciati, noi e la povera gente che non ce la fa più a curarsi. E però, nonostante tutto questo non si molla di un centimetro e si resta qui, in studio e casa dei pazienti, a lavorare con i colleghi su progetti “alti”, come quello che stiamo conducendo sullo “psicologo di famiglia” ovvero la declinazione concreta, presso i nostri studi, dell’idiozia pensata a livello nazionale e rinchiusa da Regione Lombardia dentro le famigerate Case della Comunità, come se il disagio da intercettare passasse di lì. Dico stiamo perché è un progetto che gestiamo come AMF Associazione dei Medici di famiglia di Vigevano e Lomellina, creata da noi nel 2016 e manna dal cielo sia durante il Covid - quando abbandonati da tutti ci siamo fatti forza uno con l’altro attraverso di essa - e anche oggi, per essere riconosciuti come interlocutori diretti e rappresentanti delle esigenze dei cittadini, molto più di quanto non riesca ai nostri sindacati. E poi insegno ai ragazzi che mi arrivano per il tirocinio in Medicina Generale, e in particolare insegno loro ad amare questo lavoro e a come rendersi riferimento per gli assistiti, con un grande lavoro di attenzione e dialogo. Quello che ho imparato dapprima da una famiglia di medici e poi dagli oltre trent’anni sul campo.
Infine, ci sarebbe la politica. Ma al misero livello al quale la pratico i luoghi della democrazia ormai non sono più tali e appaiono totalmente esautorati, come ad esempio il Consiglio Comunale della mia città dove faticano anche a darti i documenti da studiare in tempi consoni. All’ultimo consiglio proprio per questo ho presenziato senza prendervi parte in quanto “consigliere offeso” da questa continua mancanza di rispetto che gente di poche letture e di ancor minor classe ritengono normale avendo vinto le elezioni. Fascistelli a loro insaputa, insomma. Ecco, qui invece siamo arrivati alla fine: non mi diverto più, non mi appassionano i giochini e dopo quasi 15 anni ho già sforato il limite che mi ero imposto, considerando che se in un decennio le tue idee non avessero preso piede è perché o sono sbagliate o non sei capace. Ecco, se fare il medico è tutta la mia vita, io a fare politica non sono capace.
Be’, infine ci sarei io.
Archivierei velocemente la pratica “cosa faccio nella vita”. Niente di nemmeno vagamente soddisfacente o nobile o importante come le cose che hai letto; come ho scritto qui, lavoro da 25 anni nella PA e non è che sia riuscita a migliorare granché. Stesse criticità, stesse assurdità, solo che al posto della carta uso bollo usiamo i pdf con firma digitale. La burocrazia puoi imbellettarla come ti pare, inventarti neologismi, adottare inglesismi e mappe mentali e coloratissimi power point, ma resta comunque un blob inscalfibile, fatto al 70% di fuffa ridondante e al 30% del sangue dei caduti nell’adempimento del dovere. Io quindi non posso vantare chissà quali risultati o di essermi inventata soluzioni miracolose, se non il fatto di continuare a intestardirmi di fronte alle battaglie perse e cercare di fare il mio dovere. In effetti, forse anche questo è un superpotere: sapere che ti stai immolando per mandare avanti la baracca senza che il tuo passaggio faccia alcuna differenza, e però farlo lo stesso. Ma una cosa a un certo punto l’ho intuita, e ne ho avuto conferma popolando il mio profilo Instagram, e cioè che sono brava a organizzare le informazioni, scovare collegamenti inattesi, scoprire utilità e pungoli per ritrovare la motivazione. E’ per questo che, a un certo punto, ho voluto creare un luogo dove questa capacità non si disperdesse e magari, non avendolo potuto fare altrove, potesse anche essere di aiuto o supporto per altre persone.
Questi sono tempi complessi che mi pongono ogni giorno in una condizione bipolare: ritrovarmi oppressa dalla preoccupazione e dallo scoramento ma sempre con la voglia di cercare fonti di sollievo, conoscenza, speranza e positività. E di volerle condividere con gli altri, perché sennò che senso ha? Potrà sembrare un’operazione futile o fine a se stessa, e magari lo è, ma tutto fa brodo se quel tutto ci fa stare meglio per un po’, uniti e unite dalla nostra infinita curiosità. Finché c’è quella, significa che siamo ancora vivi.
“Struggling not to be depressed, i find whatever beauty i can and cling to it, to keep from falling.” Nikos Kazantzakis, lettera a Eleni Samiou, 16 febbraio 1929
E quindi, ecco alcune cose che faccio qui, ogni mese:
ti propongo un buon libro
ti ricordo che il mondo ha fatto spesso schifo, ma è esistito il Pontormo, e anche questi due
ti ricordo che la natura giustamente si ribella, ma cosa le vuoi dire, ha comunque ragione lei
che a volte i superpoteri ce li abbiamo davvero e i supereroi esistono eccome
che le regole della felicità sono queste
che tra le cose più importanti ci sono sempre gli amici, quelli veri
di seguire i profili giusti su Instagram
di farsi dare un consiglio davvero saggio
di crederci sempre, e arrendersi mai
e che se hai bisogno di un messaggio di conforto, ci sono tanti posti dove trovarlo
Insomma, io spesso vorrei schiocchiare le dita come Iron Man e far scomparire i Thanos che ci affliggono, ma devo accontentarmi della mia dote migliore: farmi una risata amara e andare avanti, sempre fedele allo spirito qui sotto illustrato:
Ho terminato questa lunghissima conversazione con te; prepararla è stata una maratona durata mesi, e spesso mi sono chiesta se ne valesse la pena. Tu che ne pensi? Vorrei davvero saperlo e magari conoscere anche il tuo, di superpotere. Io, nel frattempo, concludo con il solito screenshot, che ho salvato perché mi suonava familiare:
In effetti, è un monito molto simile a quello che da più di 30 anni è appeso accanto al mio letto:
We never know we go,—when we are going
We jest and shut the door;
Fate following behind us bolts it,
And we accost no more.
Emily ci prova da tempo a ricordarmi di chiudere le porte con molta attenzione, ma io ho sbagliato quasi sempre. Chissà che in futuro non vada meglio… Ci rileggiamo presto, con la solita caterva di link e tante voci ospiti, ma una alla volta però! 😅
Stammi bene 🌸.